opatapata azzurro

Al teatro Elicantropo di Napoli è andato in scena dal 9 al 12 marzo “opatapata” di Roberto Azzurro, libera trascrizione della Tempesta di W. Shakespeare.  Con una sorprendente scrittura/recitazione Roberto Azzurro, impersonando tutti i caratteri della Tempesta, ci stordisce  in maniera faceta, arguta e puntuale, leggendo il testo da lui  reinterpretato. Una prova di mimica, tempi, intervalli e dizioni tra il dialetto e un’ impeccabile classicità. Pare che l’opera del bardo sia stata presa e destrutturata, per titrarne fuori in ogni paragrafo una lezione di vita, di etica, di racconto sulla gestione del potere. Tutti conosciamo la trama del lavoro e di sicuro è un testo che desta quella tensione shakespeariana che mette in moto i sentimenti più estremi, quali  delirio superficiale e avido che lascia poi spazio a desolante pentimento  e amori folgoranti nutriti da brama assillante, eppoi mondi eterei e divini che ispirano, dirigono, strane magie che nascono da uno scopo per poi smarrirlo e ritrovarlo, seppur attraverso il dolore. Azzurro visibilmente è posseduto da questo garbuglio, lo utilizza a suo modo, se ne serve per dire la sua dall’inizio alla fine, sulla poca moralità della politica, sull’arte spesso mal gestita, sulle magagne dei furbastri. Ottimo l’istante in cui enumera grandi artisti ed altri assai mediocri, rilevando che se non ci fossero stati i magnifici non avemmo termini di paragone. E così via dicendo, poi si ferma per cambiare direzione alla narrazione e canticchia canzoncine frivole  per entrare  in un nuovo personaggio. Le frasi in dialetto napoletano sono irresistibili, scatenano risate ed approvazione. Solo a volte ci si perde nella sequenza delle immagini e si fa fatica a ritrovare il filo della storia, ma poi si apprezza questo smarrirsi, appunto, quasi un invito a non essere sempre vigili di fronte alle trame delle nostre esistenze e lasciando che si perdano in un’apparente confusione, che spesso è la cifra spirituale dell’individuo. “Siamo fatti anche noi della materia di cui sono fatti i  sogni; e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita”. Prospero atto IV scena I.

 

13/3/2017

Gioia

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